
Non racconta, evoca
Il logo è uno dei tratti salienti del brand. E questo lo sappiamo più o meno tutti.
Non esiste oggi un’azienda o un’istituzione che possa fare a meno di un sistema visuale che gli dia identità e diffusione.
Quello che è invece un pò meno ovvio è comprenderne la sua natura.
Il logo non non è, infatti, un virtuosismo grafico fine a se stesso, e non è nemmeno un segno che ha lo scopo di raccontare la tua storia o descrivere pedissequamente il ramo d’attività.
Il logo è un vessillo, che identifica e promuove; ma la sua funzione non si riduce a questo, poiché l’analisi del logo difficilmente potrà disgiungersi da quella del brand, il quale ha una natura più sfuggente.
Quale emblema della marca il logo sintetizza, in un segno, l’immaginario attorno al quale si sono addensati i suoi valori, la sua storia, il vissuto collettivo, la sua personalità, la sua estetica.
E’ un segno che rammenta, suggerisce e crea associazioni, e che ci consegna, così, il suo messaggio speciale.

Un distillato di significati e valori
Creare un logo è un esercizio complesso, frutto di intuizione, pensiero critico, sensibilità e un accurato lavoro di limatura.
Alla base di qualsiasi logo sta un progetto, che a sua volta rimanda all’intenzionalità di attribuire a questo segno grafico alcune caratteristiche precise, quelle rivendicate dall’identità di marca.
ll risultato dovrà quindi ricondurre a quel mondo e a quei valori più o meno dichiarati.
E definire mondi e valori non è un’operazione semplice.
I mondi
Prima di carta e matita, c’è tutta una fase preliminare di studio e ricerca che permette di individuare il mondo di appartenenza del brand.
Quello che cerchiamo di realizzare è un logo di un’azienda storica o una start up? E’ un’azienda locale o una multinazionale? Cosa produce? Chi è il suo target? Qual è la sua promessa?
Tutte informazioni che ci devono fornire degli indizi importanti per guidarci verso uno stile appropriato.
Ma cosa vuol dire appropriato?
Mentre sto scrivendo sto bevendo un delizioso tè in una tazza Richard Ginori, che ha mantenuto pressoché inalterato il marchio storico: un logo calligrafico caratterizzato dal segno malfermo della scrittura a mano.

Un logo che recupera l’araldica e trasferisce storia e unicità nei prodotti dell’azienda.
Il logo evoca un mondo d’arte e abilità manuali, ricche famiglie e eleganti tradizioni, interni esclusivi e antiche origini.
Avrebbe avuto la stessa forza evocativa se un maldestro restyling avesse utilizzato un modernissimo lettering?
Un logo molto diverso è invece quello impresso sul cartiglio della bustina di tè che sporge dalla tazza. E’ il logo di Pukka, un’azienda inglese che produce tisane biologiche e ayurvediche, che intende veicolare benessere, armonia, natura.

Tutto ciò non è ovviamente casuale: un abile designer evoca il mondo esotico e spirituale a cui l’azienda inglese s’ispira per produrre tisane secondo gli antichi precetti dell’ayurveda.
Il naming
Spesso nel logo si sfruttano stereotipi.
Questo vale tanto per la parte visuale che quella testuale, ovvero il naming.
